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eLearning e rivoluzione digitale nella scuola italiana: a che punto siamo?

Cosa è stato fatto finora per l'uso dell'eLearning nelle scuole e cosa si potrebbe fare per sfruttare al meglio le potenzialità della formazione online?

In principio c’erano solo la lavagna con il gesso, poi arrivarono i computer, poi fu la volta della LIM (Lavagna Interattiva Multimediale) e infine, il Miur, Ministero per l’istruzione, l’università e la ricerca, pensò a un piano per portare la rivoluzione digitale nella scuola italiana. Nasce così, il Piano nazionale scuola digitale, PNSD, un ambizioso progetto da finanziarsi con oltre 220 milioni di euro tra il 2015 e il 2020. La storia dell’eLearning come rivoluzione metodologica e culturale nella scuola italiana è cominciata così, come una favola. Ma a che punto siamo oggi? Cosa è stato fatto finora e quanto ancora c’è da fare per creare davvero una scuola digitale?

Le promesse del PNSD per la digitalizzazione nella scuola pubblica

Il PNSD è uno strumento strategico che ha stanziato oltre 220 milioni di euro per portare le nuove tecnologie e metodologie digitali nelle aule e nelle amministrazioni della scuola italiana entro il 2020. Gli elementi chiave di questa strategia sono:

  • Accesso alla rete
  • Creazione di ambienti digitali innovativi
  • Creazione di un’identità digitale per ogni studente e ogni docente
  • Promozione dell’alfabetizzazione informatica
  • Creazione e condivisione di contenuti digitali
  • Formazione dei docenti e del personale

Un’indagine condotta dall’AGI nel 2018 ha analizzato i dati forniti dal Miur in merito al processo di avanzamento dei lavori. Il punto primo, ossia la creazione di infrastrutture per permettere l’accesso alla rete è indicativo di quanto il piano stia procedendo a rilento. In base ai dati, infatti, solo il 10% delle strutture scolastiche ha accesso alla banda larga.

I fondi stanziati per la creazione di ambienti digitali innovativi nel 2019

La seconda tappa del processo di digitalizzazione è la creazione di ambienti digitali innovativi per cui era previsto l’impiego di 140 milioni di euro entro il 2020. Anche in questo caso, i lavori procedono piuttosto a rilento, a partire dall’erogazione dei fondi. Per ora, infatti, sono stati stanziati 22 milioni di euro che sono andati a 1115 strutture scolastiche che hanno richiesto i fondi nel 2018.

Quanto resta da fare per portare l’eLearning nelle scuole italiane?

Il processo di digitalizzazione della scuola dovrebbe concludersi nel 2020, ma si fa ancora fatica a realizzare alcuni punti cardine della strategia. I punti critici sono:

  • Mancanza di internet a banda larga
  • Mancanza di ambienti e strumenti digitali per l’apprendimento
  • Mancanza di formazione ai docenti

Ammesso che ci sia internet in aula e uno strumento per accedere alla rete, per molti insegnanti rimane il problema di usare delle piattaforme eLearning, anche se particolarmente intuitive. Il PNSD aveva promesso di finanziare con 1.000 euro l’anno la figura dell’animatore digitale, un docente volontario che doveva occuparsi di programmi digitali. In realtà i 1.000 euro ancora non sono stati erogati e questo facilitatore spesso non è stato formato.

A livello del Miur, ancora non c’è un programma strutturato per la formazione digitale dei docenti. Si preferisce piuttosto lasciare l’iniziativa alle singole scuole o a protocolli con alcune società. Questo potrebbe creare ancora più disparità tra gli istituti scolastici di centro e periferia, specie nei piccoli centri.

Soluzioni creative alla digitalizzazione della scuola

Se solo il 10% delle scuole italiane ha compiuto il primo passo verso la trasformazione digitale garantendo l’accesso alla rete, vuol dire che la strada verso la digitalizzazione è ancora lunga. Se manca una connessione a internet non si possono usare ambienti e strumenti digitali per l’apprendimento.

In molte scuole, soprattutto del Sud Italia, si è cercato di rispondere con la filosofia del BYOD, bring your own device. In assenza di strumenti e spazi digitali gli studenti possono portare il proprio smartphone o tablet per accedere alla rete e ai contenuti didattici interattivi.

Ci sono state forti critiche a questa pratica, perché per alcuni rappresenta un passo indietro del Miur rispetto alle milionarie promesse contenute nel PNSD. Per altri invece, portare il proprio dispositivo a scuola è un modo per condurre il processo di trasformazione digitale dal basso, a partire dagli studenti.

Che siano loro la chiave?


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