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HR e Big Data: il futuro dell’HR è sempre più data-driven

Perché l’analisi dei dati dei dipendenti sta diventando una priorità per i reparti HR delle aziende di ogni settore e dimensione?

I Big Data sono un elemento ormai fondamentale in tutti i principali settori di business. La diffusione della digitalizzazione ha infatti comportato una crescita esponenziale dei dati a disposizione delle aziende. Tale mole di dati rappresenta un’opportunità strategica per supportare i processi decisionali nei diversi ambiti aziendali, inclusa la gestione delle Risorse Umane. Leggi anche " Come e perché collegare il tuo LMS al gestionale HR".

Così come è fondamentale tracciare il journey dei consumatori per comprenderne i comportamenti e anticiparne i bisogni, risulta altrettanto importante capire in modo scientifico cosa influenza il comportamento dello staff aziendale: come si comportano i dipendenti? Cosa può essere migliorato per favorire il coinvolgimento dei lavoratori e/o aumentare la loro produttività?

Per rispondere a queste domande, le Risorse Umane oggi non possono fare a meno dei dati in nessuno dei propri ambiti di operatività: reclutamento, misurazione delle prestazioni, benessere e formazione dei dipendenti, etc. L’analisi dei dati può infatti aiutare le aziende a comprendere quali candidati assumere, chi sta ricevendo un compenso adeguato o come migliorare la fidelizzazione delle proprie risorse interne.

La gestione delle Risorse Umane basata sui dati migliora la qualità delle decisioni e contribuisce a guidare le prestazioni. Questo perché consente di conoscere al meglio il funzionamento dei processi produttivi, le performance dei lavoratori, e di prevedere i comportamenti futuri (tasso di retention, assenteismo, etc.).

Come ottenere valore dai dati sui dipendenti?

Per ottenere il massimo dai dati è però necessario passare dall’attività di puro reporting (valutazione a posteriori dei dati aziendali) a quella di previsione degli eventi futuri. Il vero potenziale dell’approccio analitico, infatti, consiste nel ricavare valore dai dati traducendo i numeri in insight e quindi in strategie di miglioramento aziendali e comportamentali e ciò è possibile solo sfruttando i tre diversi livelli di analisi dei dati:

  • Analisi descrittiva, che risponde alla domanda “cosa è successo?” e serve a rappresentare, anche graficamente, una realtà. Questo tipo di analisi è utile per apprendere dagli eventi già avvenuti.
  • Analisi predittiva, che risponde alla domanda “cosa potrebbe accadere in futuro?” e serve a esaminare i dati per fare previsioni e tracciare possibili sviluppi futuri.
  • Analisi prescrittiva, che risponde alla domanda “come dovremmo rispondere ai potenziali eventi futuri?” e fornisce indicazioni strategiche e soluzioni operative utili per gestire i processi decisionali.

Tutto questo richiede un forte cambiamento culturale per le aziende, che dovranno inevitabilmente:

  • Definire le modalità di raccolta e consultazione dei dati (integrandoli, laddove possibile, con fonti provenienti da altri sistemi aziendali o da canali esterni, come i social media);
  • Sviluppare le competenze necessarie alla gestione e all’analisi dei dati introducendo, se necessario, figure professionali specifiche;
  • Introdurre le tecnologie che consentano l’elaborazione di algoritmi predittivi e la visualizzazione dinamica e personalizzabile dei dati.

HR Analytics: casi di successo

Nonostante in Italia l’uso dei dati in ambito HR sia ancora limitato e legato principalmente alla reportistica descrittiva, il panorama internazionale mostra diversi casi di successo.

Google: l’uso dei dati per lo sviluppo manageriale
Nel 2008 Google ha lanciato Project Oxygen, uno studio finalizzato a identificare le principali caratteristiche dei suoi manager più performanti. Individuate le otto qualità più apprezzate, le ha incorporate nei programmi di sviluppo manageriale, migliorando i risultati in termini di prestazioni, fatturato e soddisfazione dei dipendenti.

IBM: l’uso dei dati per trattenere i talenti
IBM ha usato l’analisi dei dati per ridurre il turnover che, in alcuni ruoli, aveva raggiunto numeri critici. Attraverso il programma “Proactive Retention”, l’azienda ha analizzato una serie di dati tra cui posizione, titolo, promozioni e stipendi dei dipendenti per calcolare la loro probabilità di abbandono dell’azienda. Secondo quanto dichiarato dall’amministratore delegato Ginni Rometty in un’ intervista rilasciata a CNBC, grazie all’analisi dei dati l’azienda riesce a prevedere con una precisione del 95% quali dipendenti hanno intenzione di lasciare il proprio lavoro. Niente male, no?


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