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Il mondo del lavoro in smart working: salute individuale

Ormai da mesi lo smart working è entrato a far parte delle vite di molti lavoratori nel mondo. Come è stato percepito? E quali conseguenze sulla salute dei lavoratori ha portato con sé?

Secondo Mariano Corso, Docente del Politecnico di Milano e Responsabile Scientifico degli Osservatori Smart Working e Cloud Transformation, l'applicazione dello Smart Working in emergenza ha ridotto i danni economici e sanitari della pandemia e segnato un punto irreversibile di svolta nell'organizzazione del lavoro.

L'Osservatorio del Politecnico di Milano riferisce che nel 2019 lo Smart Working riguardava 570.000 lavoratori, il 20% in più rispetto al 2018. Era applicato soprattutto dalle grandi imprese (58%), mentre restava bassa la percentuale di adozione nelle PMI (12%) e nelle Pubbliche Amministrazioni (16%). Chi lavorava in smart working nel 2019 lo faceva mediamente un giorno alla settimana, solo per sbrigare attività di lavoro individuale.

Nel 2020 l'emergenza Covid-19 ha eletto lo Smart Working a modalità preferibile, se non obbligatoria, di lavoro in quanto il lavoro da remoto si è rivelata l'unica soluzione possibile per conciliare il distanziamento sociale e l'isolamento con la necessità di assicurare la continuità del business.

Il numero di lavoratori "da remoto" è schizzato di colpo ad una cifra vicina agli 8 milioni. Le aziende che in precedenza avevano già sperimentato modelli di Smart Working si sono trovate avvantaggiate e preparate, ma il cambiamento è stato radicale per tutti.

Infatti, quello che in molti hanno sperimentato non è il vero e proprio Smart Working, ma una forma di lavoro da remoto nel quale "mancano i presupposti di volontarietà e flessibilità che sono alla base dello scambio tra autonomia nella scelta delle modalità di lavoro e responsabilizzazione sui risultati su cui si dovrebbe fondare ogni accordo di Smart Working. Le persone non hanno potuto esercitare alcuna scelta perché sono state nei fatti vincolate a lavorare da casa, spesso senza quelle condizioni di autonomia ed empowerment la cui costruzione richiede tempo e maturità organizzativa".

A prescindere che lo si chiami smart working, lavoro agile o telelavoro, il lavoro da remoto è stata una nuova esperienza "imposta" dall'emergenza COVID-19 e dalla necessità di distanziamento sociale per mesi, anche a molti lavoratori che non l'avevano mai sperimentata prima. Ed è molto probabile che l'esperienza continuerà per un tempo non bene definito.

Per i dipendenti del colosso americano hi-tech Google, lo smart working sarà una realtà diffusa fino alla fine del 2020: da luglio riapriranno solo alcuni uffici, ma il coefficiente di riempimento sarà tenuto sotto il 10%. Questa percentuale salirà fino al 30% a settembre. Saranno attuate rigide misure di sicurezza per proteggere i lavoratori e per tutti quelli che proseguiranno nello smart working. L'azienda ha previsto un bonus di 1.000 dollari per acquistare attrezzature per lavorare da casa.

Mark Zuckerberg afferma che entro il 2030 la metà dei dipendenti di Facebook potrebbe lavorare da remoto. I dipendenti del social network lavoreranno da casa fino alla fine dell'anno e da luglio inizieranno le selezioni di nuovi dipendenti per il lavoro da remoto.

Ma come è stato accolto lo smart working da dipendenti ed aziende e quali ripercussioni ha avuto e avrà nel corso del prossimo anno?

Le percezioni sullo smart working

Se da un lato una ricerca LinkedIn ci dice che il lavoro da remoto risulta ai più molto più stressante di quello tradizionale - su un campione di 2mila lavoratori il 21% afferma di fare fatica a staccare la spina e lavorare almeno un'ora in più al giorno ovvero 20 ore in più al mese, il 36% arriva a fingere di essere occupato per dimostrare ai propri capi di meritare il proprio lavoro e il 16% teme il licenziamento e si sente in ansia chiedendosi se la propria azienda sopravviverà -, una ricerca commissionata da Citrix a CensusWide su un campione di 3700 dirigenti di aziende IT dislocati in 7 paesi del mondo ci informa che 7,5 lavoratori su 10 apprezzano i benefici portati dal lavoro da remoto e vogliono continuare a lavorare da casa (il report integrale in pdf). 

Il 69% dei manager IT intervistati ha sostenuto che lavorare da casa non è stato complicato e con le tecnologie messe in campo il lavoro non è stato poi diverso da quello che si faceva solitamente negli uffici. Per proseguire nel lavoro da remoto per periodi più lunghi, ci vogliono nuove strutture e piattaforme in Cloud (passaggio non semplice e scontato).

Ma le preoccupazioni nate dal lavoro da remoto all'interno dei reparti IT toccano ulteriori punti:

  • la sicurezza dei dati e del lavoro svolto fuori sede: il 70% si è dichiarato molto preoccupato per l'impossibilità di controllare che non ci fossero violazioni dei protocolli di sicurezza, anche perché molti dipendenti (e questo spaventa il 54% degli IT manager) hanno installato sui propri device software non autorizzati dal settore informatico dell'azienda.
  • i tempi strettissimi per il trasferimento delle attività sul cloud e in remoto: il 77% degli intervistati ha rilevato alti livelli di stress, ma ha anche prodotto un vantaggio non indifferente, perché il settore IT all'interno delle imprese è diventato di primaria importanza e ha confermato il proprio ruolo strategico (che resterà tale anche dopo la crisi, secondo il parere del 77% degli intervistati).
  • la difficoltà di mantenere sempre efficienti le VPN (Virtuale Private Network) delle aziende: secondo il 23% dei manager IT.

D'altro canto, a fronte di tutte le preoccupazioni dei responsabili IT, i vantaggi del lavoro a distanza si sono evidenziati rapidamente:

  • la continuità del business aziendale
  • la soddisfazione dei dipendenti che hanno potuto conciliare lavoro e sicurezza familiare in un momento di grave apprensione per la salute.
  • i risparmi derivati dal non utilizzo delle infrastrutture fisiche aziendali (uffici, etc).

Quali effetti ha lo smart working sulla nostra salute?

Secondo Marcello Albergoni, country manager di LinkedIn Italia, "Covid-19 ha avuto un impatto sul nostro modo di lavorare, ci stiamo tutti adattando alla nuova normalità e stiamo imparando ad essere flessibili. Questo periodo ha portato con sé una serie di sfide molto diverse, e per chi ha la fortuna di poter lavorare da casa, stiamo vedendo un impatto sulla nostra salute mentale e sul nostro benessere".
La salute (psicologica, in questo caso) dei lavoratori è una questione cruciale per la produttività e ciò si avverte anche dalle chat di LinkedIn "la salute dei lavoratori è al centro dell'ondata di conversazioni che vedono un aumento del 55% anno su anno". Uno spazio in più per sentirsi meno soli e condividere l'esperienza di smart working per migliorarla" conclude Albergoni.

Nonostante abbiamo visto che i lati negativi del lavoro da casa si siano manifestati tramite stress e aumento delle ore lavorative, ci sono però anche dei risvolti positivi. Il 50% dei lavoratori afferma che durante il periodo di smart working in lockdown ha avuto modo di trascorrere più tempo con i propri figli e le proprie famiglie. L'11% dei lavoratori concorda anche sul fatto che questo periodo di quarantena ha avuto un impatto positivo sulle proprie relazioni personali, sull'opportunità di mangiare più sano (27%) e di fare più esercizio fisico (14%).

Quindi, il 70% dei lavoratori che hanno "provato" lo smart working ora non vuole tornare più indietro, ma è necessario evitare il rischio burnout.

Per proseguire in questa direzione "casalinga", infatti, è importante usare il tempo a disposizione anche per curare il benessere emotivo e psicologico, tanto quanto la nostra salute fisica. Il 18% dei lavoratori ha riferito che la propria salute mentale è stata influenzata negativamente dal fatto di lavorare da casa. Il 27% dei lavoratori ha difficoltà a dormire, il 22% prova una qualche forma di ansia, mentre un altro 26% sente di non essere concentrato durante il giorno. Se situazioni come queste non sono gestite possono facilmente sfociare nel burnout dei lavoratori, commentano gli psicologi.

Come spiega Laura Parolin, vicepresidente dell’Ordine degli Psicologi: "Il lavoro da casa e l'impossibilità di uscire ci ha obbligato a una ridefinizione repentina degli equilibri tra lavoro, famiglia e tempo libero. L'organizzazione del lavoro prima della pandemia consentiva di evadere e prendere le distanze dagli altri ambienti di vita, una possibilità che in questa situazione è mancata, costringendoci al confronto costante con l'isolamento o alle relazioni con i conviventi, spesso con la difficoltà di definire un soddisfacente work-life balance. È comprensibile sentirsi smarriti e frastornati dalla novità, tuttavia è altrettanto cruciale sfruttare il ritrovato contatto con se stessi per imparare ad ascoltarsi e ripensare emozioni, ansie, paure".

"Quando le persone vivono una grande incertezza, - prosegue Parolin - è normale che questa si trasformi in ansia o paura, soprattutto quando si teme di perdere il lavoro, come i rivelano i dati di LinkedIn. Sono proprio questi tipi di situazioni che evidenziano lo stretto legame tra il nostro benessere psicologico, la produttività e la capacità di lavorare in team. Le aziende dovranno prevedere azioni di welfare aziendale specifiche (sportelli, voucher, convenzioni) per il sostegno psicologico ai dipendenti in modo da assicurare che il loro benessere sia tutelato, e i lavoratori non dovranno temere di far riferimento ai professionisti coinvolti".

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